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Primo: come amare?


La gran parte delle domande che accompagnano le crisi d'amore si riassume in due evocazioni: mi ama? Non mi ama? Tuttavia, basta sviscerarle solo un poco per comprendere che, dietro i due quesiti, si cela la più concreta necessità di essere amati in modo diverso da come in quel momento ci sentiamo amati.

Il problema, dunque, anche al di là delle piccole e grandi necessità di ogni coppia, non è mai amare o essere amati. La questione è, semmai, come amare, affinché questa forza miracolosa che è l'amore produca il più a lungo possibile i suoi effetti benefici e non venga invece intralciata da ostacoli che, più spesso di quanto si sappia o creda, nulla hanno a che fare con l'amore.

“Come amare” non risponde agli istinti riproduttivi della sopravvivenza della specie, ma a dettami culturali, che si differenziano di epoca in epoca e di territorio in territorio, di persona in persona.

 Amore in MediadoIl tema non è certo nuovo, probabilmente si pone da che esiste l'uomo, e ne sono testimonianza i milioni di romanzi, saggi, poemi e opere d’arte creati a tal proposito. Tuttavia, la mia esperienza con tante coppie finite nel cortocircuito della crisi, mi fa ritenere che mai come in questa nostra epoca la questione incalzi con una certa urgenza e per cause che non hanno necessariamente a che fare con l'amore.

Oggi, infatti, l'amore sembra attraversato da una condizione di crisi universale che sempre più prescinde dai palpiti del cuore ed è invece fortemente influenzato da una serie di cambiamenti sociali e culturali che, per quanto presentatisi come opportunità benefiche e evolutive, hanno invece finito per determinare una serie di difficoltà da cui, soprattutto le nuove coppie (ma non solo) faticano ad evadere, subendone conseguenze negative e, a volte, anche nefaste.

Sia per quel che concerne il discorso più generico sull'Amore, che per quel che riguarda le sue ricadute pratiche nella vita di ogni giorno, è di fondamentale importanza, allora, osservare come si è trasformato questo bellissimo gioco che da sempre coinvolge e spesso stravolge la nostra specie, unici tra gli animali ad aver tanto sofisticato il processo che volge alla nostra riproduzione da prevedere persino la possibilità di non riprodursi.

Proveremo ad approfondire nei prossimi articoli.


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La gran parte delle domande che accompagnano le crisi d'amore si riassume in due evocazioni: mi ama? Non mi ama? Tuttavia, basta sviscerarle solo un poco per comprendere che, dietro i due quesiti, si cela la più concreta necessità di essere amati in modo diverso da come in quel momento ci sentiamo amati.

Il problema, dunque, anche al di là delle piccole e grandi necessità di ogni coppia, non è mai amare o essere amati. La questione è, semmai, come amare, affinché questa forza miracolosa che è l'amore produca il più a lungo possibile i suoi effetti benefici e non venga invece intralciata da ostacoli che, più spesso di quanto si sappia o creda, nulla hanno a che fare con l'amore.

“Come amare” non risponde agli istinti riproduttivi della sopravvivenza della specie, ma a dettami culturali, che si differenziano di epoca in epoca e di territorio in territorio, di persona in persona.

 Amore in MediadoIl tema non è certo nuovo, probabilmente si pone da che esiste l'uomo, e ne sono testimonianza i milioni di romanzi, saggi, poemi e opere d’arte creati a tal proposito. Tuttavia, la mia esperienza con tante coppie finite nel cortocircuito della crisi, mi fa ritenere che mai come in questa nostra epoca la questione incalzi con una certa urgenza e per cause che non hanno necessariamente a che fare con l'amore.

Oggi, infatti, l'amore sembra attraversato da una condizione di crisi universale che sempre più prescinde dai palpiti del cuore ed è invece fortemente influenzato da una serie di cambiamenti sociali e culturali che, per quanto presentatisi come opportunità benefiche e evolutive, hanno invece finito per determinare una serie di difficoltà da cui, soprattutto le nuove coppie (ma non solo) faticano ad evadere, subendone conseguenze negative e, a volte, anche nefaste.

Sia per quel che concerne il discorso più generico sull'Amore, che per quel che riguarda le sue ricadute pratiche nella vita di ogni giorno, è di fondamentale importanza, allora, osservare come si è trasformato questo bellissimo gioco che da sempre coinvolge e spesso stravolge la nostra specie, unici tra gli animali ad aver tanto sofisticato il processo che volge alla nostra riproduzione da prevedere persino la possibilità di non riprodursi.

Proveremo ad approfondire nei prossimi articoli.


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Rimanere genitori oltre il legame coniugale

Un nuovo articolo scritto a quattro mani con la collega Stella Morana, al centro della riflessione .la condizione di crisi della coppia e la necessità di preservare un'adeguata e costruttiva genitorialità.

"Non è difficile diventare padre. Essere un padre: questo è difficile.”. Così scriveva Wilhelm Busch, sottolineando la differenza tra diventare genitori, evento naturale nel ciclo vitale e: essere genitore, che, invece, è proprio un’altra cosa -ovviamente, anche per le madri.

Essere genitore significa presenza e costanza, affetto e dedizione, rispetto e accudimento, ma anche: capacità di distacco, di generare indipendenza e far sperimentare la frustrazione della caduta, la fatica dei desiderio da concretare con le proprie forze.

Avete presente i personaggi della Marvel? Ecco, diciamo che ogni genitore dovrebbe essere per il proprio figlio uno strano “supereroe” che mentre lo protegge da tutti i pericoli, al contempo ai pericoli lo espone, con saggezza, affinché capisca, senza che si faccia "troppo male"; insomma: un modello a cui fare riferimento per costruire la propria identità di soggetto autonomo e il più possibile capace di determinare il mondo.

I genitori, dunque, consentono (dovrebbero consentire) al proprio figlio di sperimentare e sperimentarsi come individuo che vale. Questa conquista rappresenta il più grande dono che una persona possa ricevere, la più grande risorsa per affrontare la vita. E un figlio ha bisogno di ricevere questo, sempre, anche (e forse a maggior ragione), quando i genitori sono separati.

Tuttavia, molti genitori nutrono la profonda convinzione che offrire una famiglia in ogni caso, a qualunque costo, sia la scelta più giusta per i propri figli. Niente di più sbagliato. Ci sono genitori che vivono sotto lo stesso tetto, ma così lontani nel cuore e nella mente da essere più un danno che un dono; e ci sono -invece- genitori che, pur separati, incarnano davvero quell'occasione di sana crescita che ogni figlio dovrebbe avere, proprio perché gli ex-coniugi, insieme, scelgono di continuare a essere genitori, anche se in un modo diverso.
Purtroppo, non sono rari i casi in cui i genitori si convincono che la miglior cosa da fare per i propri figli sia proprio quella di rimanere insieme e, nonostante i litigi e le incomprensioni, si obbligano in tal senso.

Le conseguenze di questa vera e propria ideologia, non sono tuttavia da sottovalutare.

Primo perché, per quanto ci si sforzi, i figli vengono sempre (consapevolmente o meno) coinvolti nei conflitti dei genitori, fosse solo per la tensione emotiva che si respira in un ambiente dove manca l'armonia e che, volenti o nolenti, investe gli astanti estranei al conflitto in complessi ruoli che la fragilità di un bimbo in crescita non può sostenere.

In secondo luogo, perché, ci sono insegnamenti che non hanno una configurazione diretta ed esplicita, ma passano dall'incontrovertibile sapere dei gesti, degli sguardi, di quel mondo della comunicazione e delle relazioni che decliniamo sotto l'etichetta di "non verbale". Cosa insegneranno, dunque, due genitori che non si baciano, che non si abbracciano, che non si cercano, che non si desiderano che, anzi, magari si scherniscono, si svalutano, quando non fanno di peggio? Non è forse il più grande delitto che un genitore possa commettere insegnare al proprio figlio l'infelicità? Non è forse il più grande delitto che un genitore può commettere insegnare al priorità figlio che si può vivere insieme a un uomo o a una donna che non si ama, che magari nemmeno si stima che, a volta, persino, si disprezza?

L'amore, per il coniuge o per i figli, poco importa, è anzitutto un'energia potente, capace di manifestare tutta la sua vitalità come (quando manca laddove dovrebbe esserci) tutta la sua mortificazione. La mediazione famigliare si presenta, allora, come un'occasione fondamentale proprio per quei genitori che vivono la tentazione di restare insieme nonostante tutto, per accompagnarli a comprendere i pericoli di questa soluzione insieme alle molteplici modalità di amare i propri figli anche da separati, anche da lontano e, forse, seppur in modo completamente diverso, di tornare ad amarsi come genitori.

Un nuovo articolo scritto a quattro mani con la collega Stella Morana, al centro della riflessione .la condizione di crisi della coppia e la necessità di preservare un'adeguata e costruttiva genitorialità.

"Non è difficile diventare padre. Essere un padre: questo è difficile.”. Così scriveva Wilhelm Busch, sottolineando la differenza tra diventare genitori, evento naturale nel ciclo vitale e: essere genitore, che, invece, è proprio un’altra cosa -ovviamente, anche per le madri.

Essere genitore significa presenza e costanza, affetto e dedizione, rispetto e accudimento, ma anche: capacità di distacco, di generare indipendenza e far sperimentare la frustrazione della caduta, la fatica dei desiderio da concretare con le proprie forze.

Avete presente i personaggi della Marvel? Ecco, diciamo che ogni genitore dovrebbe essere per il proprio figlio uno strano “supereroe” che mentre lo protegge da tutti i pericoli, al contempo ai pericoli lo espone, con saggezza, affinché capisca, senza che si faccia "troppo male"; insomma: un modello a cui fare riferimento per costruire la propria identità di soggetto autonomo e il più possibile capace di determinare il mondo.

I genitori, dunque, consentono (dovrebbero consentire) al proprio figlio di sperimentare e sperimentarsi come individuo che vale. Questa conquista rappresenta il più grande dono che una persona possa ricevere, la più grande risorsa per affrontare la vita. E un figlio ha bisogno di ricevere questo, sempre, anche (e forse a maggior ragione), quando i genitori sono separati.

Tuttavia, molti genitori nutrono la profonda convinzione che offrire una famiglia in ogni caso, a qualunque costo, sia la scelta più giusta per i propri figli. Niente di più sbagliato. Ci sono genitori che vivono sotto lo stesso tetto, ma così lontani nel cuore e nella mente da essere più un danno che un dono; e ci sono -invece- genitori che, pur separati, incarnano davvero quell'occasione di sana crescita che ogni figlio dovrebbe avere, proprio perché gli ex-coniugi, insieme, scelgono di continuare a essere genitori, anche se in un modo diverso.
Purtroppo, non sono rari i casi in cui i genitori si convincono che la miglior cosa da fare per i propri figli sia proprio quella di rimanere insieme e, nonostante i litigi e le incomprensioni, si obbligano in tal senso.

Le conseguenze di questa vera e propria ideologia, non sono tuttavia da sottovalutare.

Primo perché, per quanto ci si sforzi, i figli vengono sempre (consapevolmente o meno) coinvolti nei conflitti dei genitori, fosse solo per la tensione emotiva che si respira in un ambiente dove manca l'armonia e che, volenti o nolenti, investe gli astanti estranei al conflitto in complessi ruoli che la fragilità di un bimbo in crescita non può sostenere.

In secondo luogo, perché, ci sono insegnamenti che non hanno una configurazione diretta ed esplicita, ma passano dall'incontrovertibile sapere dei gesti, degli sguardi, di quel mondo della comunicazione e delle relazioni che decliniamo sotto l'etichetta di "non verbale". Cosa insegneranno, dunque, due genitori che non si baciano, che non si abbracciano, che non si cercano, che non si desiderano che, anzi, magari si scherniscono, si svalutano, quando non fanno di peggio? Non è forse il più grande delitto che un genitore possa commettere insegnare al proprio figlio l'infelicità? Non è forse il più grande delitto che un genitore può commettere insegnare al priorità figlio che si può vivere insieme a un uomo o a una donna che non si ama, che magari nemmeno si stima che, a volta, persino, si disprezza?

L'amore, per il coniuge o per i figli, poco importa, è anzitutto un'energia potente, capace di manifestare tutta la sua vitalità come (quando manca laddove dovrebbe esserci) tutta la sua mortificazione. La mediazione famigliare si presenta, allora, come un'occasione fondamentale proprio per quei genitori che vivono la tentazione di restare insieme nonostante tutto, per accompagnarli a comprendere i pericoli di questa soluzione insieme alle molteplici modalità di amare i propri figli anche da separati, anche da lontano e, forse, seppur in modo completamente diverso, di tornare ad amarsi come genitori.

Tra avvocato e mediatore

Un nuovo articolo scritto a quattro mani con la collega Stella Morana, questa volta centrato sulla differenza tra avvocato e mediatore, quando la crisi di coppia prorompe ed è necessario correre ai ripari. 

Un nuovo litigio, l’ennesima incomprensione nella coppia.

Prima possibilità. Volano accuse e parole pesanti: “Basta!" dice (lui o lei, poco importa), "Insieme a te non ci sto più! Domani vado dall'avvocato!”. Da qui in poi inizia un percorso faticoso, sofferente, lungo. Spesso, chi subisce la separazione, si trova costretto a scegliere anche lui il suo avvocato e, da lì in poi, a vedere frapposti, in quell'ultimo importantissimo frangente del loro rapporto d'amore, due professionisti (gli avvocati, appunto) che cercheranno, ognuno, di far vincere il proprio cliente -ovviamente a discapito di un perdente e, spesso, a discapito dei figli che, sempre, hanno bisogno di due genitori vincenti nella loro relazione genitoriale.

Seconda Possibilità. La scena e la stessa ma il finale diverso: "Che ne dici se provassimo a farci aiutare da un mediatore familiare?". Da qui in poi inizia un percorso certamente faticoso, sofferente e anche impegnativo, ma che vede i due partner decidere insieme del loro destino, accompagnati da un professionista che, oltre ad aiutarli a disciplinare le comuni e importanti questioni del dare e dell'avere, delle divisioni mobili e immobili, li aiuterà anche a cercare e trovare il migliore equilibrio per gestire, da lì in poi, la loro relazione salvaguardando il loro benessere (non solo economico) e, sopratutto, il benessere di ogni eventuale figlio coinvolto.

Attraverso la mediazione non vi sono vincenti e perdenti. Con la mediazione tutti, figli compresi, si vince.

In questo senso possiamo definire la mediazione familiare come un’efficace alternativa al conflitto distruttivo che sempre rischia di animare gli amori alla fine dell'amore. Attraverso il percorso di mediazione famigliare la coppia si dà cioè l’opportunità di costruire "un amore diverso" (M.S. Galli), un amore che certamente non abiterà sotto lo stesso tetto, ma che saprà abitare quello spazio ben più complesso che consta nel fare il genitore sotto due tetti differenti: esperienza che necessita di essere tanto più capaci di comunicare, condividere, confrontarsi che nella normale gestione di un genitorialità non disgiunta dalla coniugalità.

Si tratta, per altro, di un percorso breve, che si realizza in 8/12 incontri, ciascuno dalla durata di un'ora e mezza circa, e che, al pari del percorso con gli avvocati, terminerà con la stesura di un accordo di separazione giuridicamente valido e omologabile, ma, a differenza del più tradizionale ricorso all'avvocato, tale accordo sarà interamente pensato e consensualmente condiviso dalla coppia, aiutata dal mediatore che, in ogni passaggio determinante, stimolerà le parti ad ascoltare e comprendere le ragioni e i bisogni dell'altro e, soprattutto, i veri bisogni, spesso celati, dei figli.

Il percorso di mediazione familiare non si riduce, dunque, solamente al mero atto di aiutare i coniugi a trovare “buoni accordi” di separazione; significa invece aprirsi al futuro di una nuova relazione: quella di un uomo e una donna che si sono amati e che ora, per amore dei figli, dovranno imparare a continuare ad amarsi, seppur in modo diverso, gettando le fondamenta affinché quel "noi" che li aveva visti amanti, continui a trovarli uniti nella comune e costruttiva gestione della genitorialità perché, come recita un importante refrain della mediazione: "si può smettere di essere coniugi, ma non si può smette di essere genitori".

Un nuovo articolo scritto a quattro mani con la collega Stella Morana, questa volta centrato sulla differenza tra avvocato e mediatore, quando la crisi di coppia prorompe ed è necessario correre ai ripari. 

Un nuovo litigio, l’ennesima incomprensione nella coppia.

Prima possibilità. Volano accuse e parole pesanti: “Basta!" dice (lui o lei, poco importa), "Insieme a te non ci sto più! Domani vado dall'avvocato!”. Da qui in poi inizia un percorso faticoso, sofferente, lungo. Spesso, chi subisce la separazione, si trova costretto a scegliere anche lui il suo avvocato e, da lì in poi, a vedere frapposti, in quell'ultimo importantissimo frangente del loro rapporto d'amore, due professionisti (gli avvocati, appunto) che cercheranno, ognuno, di far vincere il proprio cliente -ovviamente a discapito di un perdente e, spesso, a discapito dei figli che, sempre, hanno bisogno di due genitori vincenti nella loro relazione genitoriale.

Seconda Possibilità. La scena e la stessa ma il finale diverso: "Che ne dici se provassimo a farci aiutare da un mediatore familiare?". Da qui in poi inizia un percorso certamente faticoso, sofferente e anche impegnativo, ma che vede i due partner decidere insieme del loro destino, accompagnati da un professionista che, oltre ad aiutarli a disciplinare le comuni e importanti questioni del dare e dell'avere, delle divisioni mobili e immobili, li aiuterà anche a cercare e trovare il migliore equilibrio per gestire, da lì in poi, la loro relazione salvaguardando il loro benessere (non solo economico) e, sopratutto, il benessere di ogni eventuale figlio coinvolto.

Attraverso la mediazione non vi sono vincenti e perdenti. Con la mediazione tutti, figli compresi, si vince.

In questo senso possiamo definire la mediazione familiare come un’efficace alternativa al conflitto distruttivo che sempre rischia di animare gli amori alla fine dell'amore. Attraverso il percorso di mediazione famigliare la coppia si dà cioè l’opportunità di costruire "un amore diverso" (M.S. Galli), un amore che certamente non abiterà sotto lo stesso tetto, ma che saprà abitare quello spazio ben più complesso che consta nel fare il genitore sotto due tetti differenti: esperienza che necessita di essere tanto più capaci di comunicare, condividere, confrontarsi che nella normale gestione di un genitorialità non disgiunta dalla coniugalità.

Si tratta, per altro, di un percorso breve, che si realizza in 8/12 incontri, ciascuno dalla durata di un'ora e mezza circa, e che, al pari del percorso con gli avvocati, terminerà con la stesura di un accordo di separazione giuridicamente valido e omologabile, ma, a differenza del più tradizionale ricorso all'avvocato, tale accordo sarà interamente pensato e consensualmente condiviso dalla coppia, aiutata dal mediatore che, in ogni passaggio determinante, stimolerà le parti ad ascoltare e comprendere le ragioni e i bisogni dell'altro e, soprattutto, i veri bisogni, spesso celati, dei figli.

Il percorso di mediazione familiare non si riduce, dunque, solamente al mero atto di aiutare i coniugi a trovare “buoni accordi” di separazione; significa invece aprirsi al futuro di una nuova relazione: quella di un uomo e una donna che si sono amati e che ora, per amore dei figli, dovranno imparare a continuare ad amarsi, seppur in modo diverso, gettando le fondamenta affinché quel "noi" che li aveva visti amanti, continui a trovarli uniti nella comune e costruttiva gestione della genitorialità perché, come recita un importante refrain della mediazione: "si può smettere di essere coniugi, ma non si può smette di essere genitori".

AmoreCiao: Website Award 2014

Condivido con i numerosi lettori di questo blog e con le ormai centinaia di iscritti alla newsletter, il premio Website Award 2014 che il prestigioso portale Kijiji ha voluto dedicare proprio ad AmoreCiao.

Una segnalazione importante che sottolinea, come abbiamo più volte descritto proprio in queste pagine, l'urgenza di un tema troppo spesso ridotto a strumento di consumo e chiacchiera da salotto. Non perché non vi possa essere un discorso frivolo sull'amore, anzi; ma perché questa leggerezza, non ha saputo restituite, insieme all'evasività, quella necessaria attenzione e consapevolezza che oggi le storie d'amore necessitano per non logorarsi rapidamente sotto i colpi di una crisi che, spessissimo, non ha nulla a che fare con l'amore per l'Altro, ma riguarda una vera e propria incapacità di amare nel gorgo di questa nostra contemporaneità.

L'esperienza clinica ci ha reso, invece, consapevoli della necessità di lavorare alla diffusione di una (invasiva) "pedagogia dell’amore di coppia" che si configuri come percorso-dispositivo non solo per affrontare la "crisi d'amore" ma anche, e forse soprattutto: per anticiparla, prevenirla e, potenzialmente, per fare davvero di ogni amore una storia vissuta, fino in fondo ai suoi confini e oltre i suoi confini, con pienezza, rispetto, consapevolezza, ossia con quella partecipazione capace di generare un produttivo benessere evolutivo per ognuno degli attori che vi sono coinvolti -ivi compresi gli eventuali minori.

In questo senso, credo che il riconoscimento di Kijiji possa essere un altro importante segnale, insieme alla recente presenza sul Sole 24 Ore, per tessere e diffondere questo sguardo sull'amore, affinché sempre più coppie possano evitare di cadere nella crisi conflittuale e distruttiva, riaprendo tra i coniugi, gli amanti, i partner, i genitori, una comunicazione che si è interrotta, chiarendo i veri problemi che mettono a rischio l'unione, promuovendo le risorse dei singoli e della coppia, risolvendo le situazioni di conflitto, accompagnando entrambi verso una risoluzione serena della crisi, sia che guardi ad un nuova vita insieme, sia che guardi alla separazione.


Condivido con i numerosi lettori di questo blog e con le ormai centinaia di iscritti alla newsletter, il premio Website Award 2014 che il prestigioso portale Kijiji ha voluto dedicare proprio ad AmoreCiao.

Una segnalazione importante che sottolinea, come abbiamo più volte descritto proprio in queste pagine, l'urgenza di un tema troppo spesso ridotto a strumento di consumo e chiacchiera da salotto. Non perché non vi possa essere un discorso frivolo sull'amore, anzi; ma perché questa leggerezza, non ha saputo restituite, insieme all'evasività, quella necessaria attenzione e consapevolezza che oggi le storie d'amore necessitano per non logorarsi rapidamente sotto i colpi di una crisi che, spessissimo, non ha nulla a che fare con l'amore per l'Altro, ma riguarda una vera e propria incapacità di amare nel gorgo di questa nostra contemporaneità.

L'esperienza clinica ci ha reso, invece, consapevoli della necessità di lavorare alla diffusione di una (invasiva) "pedagogia dell’amore di coppia" che si configuri come percorso-dispositivo non solo per affrontare la "crisi d'amore" ma anche, e forse soprattutto: per anticiparla, prevenirla e, potenzialmente, per fare davvero di ogni amore una storia vissuta, fino in fondo ai suoi confini e oltre i suoi confini, con pienezza, rispetto, consapevolezza, ossia con quella partecipazione capace di generare un produttivo benessere evolutivo per ognuno degli attori che vi sono coinvolti -ivi compresi gli eventuali minori.

In questo senso, credo che il riconoscimento di Kijiji possa essere un altro importante segnale, insieme alla recente presenza sul Sole 24 Ore, per tessere e diffondere questo sguardo sull'amore, affinché sempre più coppie possano evitare di cadere nella crisi conflittuale e distruttiva, riaprendo tra i coniugi, gli amanti, i partner, i genitori, una comunicazione che si è interrotta, chiarendo i veri problemi che mettono a rischio l'unione, promuovendo le risorse dei singoli e della coppia, risolvendo le situazioni di conflitto, accompagnando entrambi verso una risoluzione serena della crisi, sia che guardi ad un nuova vita insieme, sia che guardi alla separazione.


Ritessere emozioni costruttive

"[...] L'impostazione originaria della mediazione familiare vorrebbe il mediatore strettamente vincolato ad accompagnare la coppia in crisi negli articolati passaggi della separazione o del divorzio, nutrito dell'illusione che la condizione delle parti che giungono nel suo studio sia scevra da qualsivoglia perplessità rispetto alla necessità di terminare definitivamente la loro relazione.

La crisi che la coppia porta nel setting della mediazione è, invece, sempre carica di molteplici istanze, quasi mai esplicite e non esclusivamente circoscrivibili entro l'obiettivo della separazione.

La volontà di separarsi, persino laddove..."

Diritto 24 - Il sole 24 Ore: Osservatorio sulla Mediazione Familiare. 
Continua a leggere qui il nuovo articolo di Massimo Silvano Galli e Teresa Laviola

(permalink):
http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoCivile/famiglia/2014-05-12/ritessere-emozioni-costruttive-mediazione-165631.php
"[...] L'impostazione originaria della mediazione familiare vorrebbe il mediatore strettamente vincolato ad accompagnare la coppia in crisi negli articolati passaggi della separazione o del divorzio, nutrito dell'illusione che la condizione delle parti che giungono nel suo studio sia scevra da qualsivoglia perplessità rispetto alla necessità di terminare definitivamente la loro relazione.

La crisi che la coppia porta nel setting della mediazione è, invece, sempre carica di molteplici istanze, quasi mai esplicite e non esclusivamente circoscrivibili entro l'obiettivo della separazione.

La volontà di separarsi, persino laddove..."

Diritto 24 - Il sole 24 Ore: Osservatorio sulla Mediazione Familiare. 
Continua a leggere qui il nuovo articolo di Massimo Silvano Galli e Teresa Laviola

(permalink):
http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoCivile/famiglia/2014-05-12/ritessere-emozioni-costruttive-mediazione-165631.php

Unlove Tour: Mapello

Venerdì 11 aprile 2014. presso il centro NoiMediamo di Mapello (Bg), ho avuto il piacere di presentare il libro "L'Amore alla Fine dell'Amore" da cui -come ormai i lettori ben sanno- prende abbrivio questo blog.

Ancora una volta è stata l'occasione per riflettere sugli amori contemporanei, le loro crisi e i loro rimedi, alla luce delle ormai centinaia di esperienze cliniche maturate non solo con le coppie in crisi, ma anche -più genericamente- con le famiglie, che pure da coppie sono formate e le cui difficoltà con i figli non sono spesso esenti da problematiche che, invece, riguardano la coppia.


Ciò significa che per comprendere il campo del "discorso sull'amore" dobbiamo, a mio avviso, allargare le nostre riflessioni al contesto epocale in cui viviamo che, a mio avviso, possiamo ugualmente definire: “dell'amore alla fine dell'amore”, denunciando cioè come l'amore, almeno per come lo conosciamo e pratichiamo, è arrivato oggi al suo capolinea e necessita quindi di una riconfigurazione che ci aiuti meglio a comprendere cosa è diventato e come poterne adeguatamente fruire.

In questa indagine oltre i confini della crisi di coppia in quanto tale, molte cose vengono alla luce, cose apparentemente lontane dall'amore coniugale ma che, di fatto, lo contaminano e lo determinano.

Abbiamo già avuto modo di delineare le riflessioni scaturite lo scorso venerdì a Mapello nel post: "L'amore nel gorgo del III° Millennio" e ad esso rimandiamo per una lettura più approfondita, mentre qui a lato proponiamo un breve video con alcuni frammenti della serata.
Venerdì 11 aprile 2014. presso il centro NoiMediamo di Mapello (Bg), ho avuto il piacere di presentare il libro "L'Amore alla Fine dell'Amore" da cui -come ormai i lettori ben sanno- prende abbrivio questo blog.

Ancora una volta è stata l'occasione per riflettere sugli amori contemporanei, le loro crisi e i loro rimedi, alla luce delle ormai centinaia di esperienze cliniche maturate non solo con le coppie in crisi, ma anche -più genericamente- con le famiglie, che pure da coppie sono formate e le cui difficoltà con i figli non sono spesso esenti da problematiche che, invece, riguardano la coppia.


Ciò significa che per comprendere il campo del "discorso sull'amore" dobbiamo, a mio avviso, allargare le nostre riflessioni al contesto epocale in cui viviamo che, a mio avviso, possiamo ugualmente definire: “dell'amore alla fine dell'amore”, denunciando cioè come l'amore, almeno per come lo conosciamo e pratichiamo, è arrivato oggi al suo capolinea e necessita quindi di una riconfigurazione che ci aiuti meglio a comprendere cosa è diventato e come poterne adeguatamente fruire.

In questa indagine oltre i confini della crisi di coppia in quanto tale, molte cose vengono alla luce, cose apparentemente lontane dall'amore coniugale ma che, di fatto, lo contaminano e lo determinano.

Abbiamo già avuto modo di delineare le riflessioni scaturite lo scorso venerdì a Mapello nel post: "L'amore nel gorgo del III° Millennio" e ad esso rimandiamo per una lettura più approfondita, mentre qui a lato proponiamo un breve video con alcuni frammenti della serata.

Dispiegare l'Amore

"Dispiegare senza spiegare...", concludevamo nel nostro ultimo post ("L'amore poeta"). Questo è il profondo mistero e, parimenti, la cura dell'amore: abbandonarsi, non trattenere, non ridurre, non negare l'afflato creativo che, prima, ci induce con spinta naturale a promulgare l'irregolare battito del cuore dell'innamoramento e, poi, ci seduce a emettere lo stesso battito attraverso l'artificiale invenzione di ogni gioco d'amore. 

Agire. Agire. Agire o, meglio: darsi prima di spiegarsi, affinché ogni darsi non venga tradito da inopportune traduzioni che sempre sminuiscono ogni spontaneità di questo dono all'Altro, al mondo, alla vita... Perché, come diceva il saggio moto di Daniele Oppi: "Ci sono molte cose da dire e da fare, ma da dire solamente non ce n'è".

L'amore, nella sua pragmatica, svela così il segreto della vita o, meglio, della vitalità che proprio l'innamorato più di tutti conosce. Una vitalità che è conoscenza allo stato puro e che contraddice il sistema riflessivo con cui l'umanità è cresciuta negli ultimi millenni, quel sistema che generalmente prevede che, appunto, la spiegazione anticipi l'azione (che è dispiegazione di sé nel mondo). L'amore mette, invece, in moto un altro mondo dove è l'agire che induce al capire, dove è amando e giocando all'amore che com-prendo (prendo dentro di me) l'amore e me ne prendo cura.

Non è un caso che ogni invocazione di sicurezza che si traduce in un: "Perché mi ami?", porti con sé più rischi che benefici, insieme all'altissima probabilità che l'amore dell'Altro non corrisponda alle aspettative dei miei rassicuranti desiderata, a quegli aspetti della mia identità che vorrei che lei/lui amasse: "Come," ad esempio, "il tuo bellissimo naso," direbbe l'amato, che di quel naso ama proprio la sua imperfezione, mentre tu da una vita stai sognando di dargli un ritocchino chirurgico...

Purtroppo, la maggioranza delle nostre convinzioni si basano sull'idea cartesiana che la consapevolezza debba precedere l'azione, che spiegare e capire debbano venire prima di agire. Così siamo cresciuti dentro un sistema bloccato che, spesso, se non capisce finisce per non agire.

Questo accade anche nell'amore, in primo luogo quando va in crisi e chiediamo all'Altro di farci capire, di spiegare, mentre, spesso, è sufficiente (e la pratica clinica lo conferma), aiutare l'Altro in ciò che davvero ha omesso: il suo dispiegarsi verso di noi, per noi, in noi, che è causa della crisi.

Come suggerisce Blaise Pascal allo scettico che desidera diventare credente: "Vai in chiesa tutti i giorni, inginocchiati, prega... La fede verrà da sé".

Allo stesso modo debbono essere curati coloro che sono colpiti dalla crisi dell'amore: accompagnati a dispiegare il proprio corpo emotivo ad agire con l'Altro e per l'Altro, affinché, attraverso questo dis-piegarsi all'Altro, possano tornare a scoprire un nuovo modo di amarsi e di essere amati e, in questa scoperta, provare trovare un nuovo ben-essere di individui e di coppia ma, soprattutto, quella speranza di felicità che a quel ben-essere dà sostanza e senso e, attraverso l'ausilio di un'immaginazione sempre feconda, aiuta a spostarsi nel futuro, imparando a condividere e sperimentare il loro progetto di vita insieme.

"Dispiegare senza spiegare...", concludevamo nel nostro ultimo post ("L'amore poeta"). Questo è il profondo mistero e, parimenti, la cura dell'amore: abbandonarsi, non trattenere, non ridurre, non negare l'afflato creativo che, prima, ci induce con spinta naturale a promulgare l'irregolare battito del cuore dell'innamoramento e, poi, ci seduce a emettere lo stesso battito attraverso l'artificiale invenzione di ogni gioco d'amore. 

Agire. Agire. Agire o, meglio: darsi prima di spiegarsi, affinché ogni darsi non venga tradito da inopportune traduzioni che sempre sminuiscono ogni spontaneità di questo dono all'Altro, al mondo, alla vita... Perché, come diceva il saggio moto di Daniele Oppi: "Ci sono molte cose da dire e da fare, ma da dire solamente non ce n'è".

L'amore, nella sua pragmatica, svela così il segreto della vita o, meglio, della vitalità che proprio l'innamorato più di tutti conosce. Una vitalità che è conoscenza allo stato puro e che contraddice il sistema riflessivo con cui l'umanità è cresciuta negli ultimi millenni, quel sistema che generalmente prevede che, appunto, la spiegazione anticipi l'azione (che è dispiegazione di sé nel mondo). L'amore mette, invece, in moto un altro mondo dove è l'agire che induce al capire, dove è amando e giocando all'amore che com-prendo (prendo dentro di me) l'amore e me ne prendo cura.

Non è un caso che ogni invocazione di sicurezza che si traduce in un: "Perché mi ami?", porti con sé più rischi che benefici, insieme all'altissima probabilità che l'amore dell'Altro non corrisponda alle aspettative dei miei rassicuranti desiderata, a quegli aspetti della mia identità che vorrei che lei/lui amasse: "Come," ad esempio, "il tuo bellissimo naso," direbbe l'amato, che di quel naso ama proprio la sua imperfezione, mentre tu da una vita stai sognando di dargli un ritocchino chirurgico...

Purtroppo, la maggioranza delle nostre convinzioni si basano sull'idea cartesiana che la consapevolezza debba precedere l'azione, che spiegare e capire debbano venire prima di agire. Così siamo cresciuti dentro un sistema bloccato che, spesso, se non capisce finisce per non agire.

Questo accade anche nell'amore, in primo luogo quando va in crisi e chiediamo all'Altro di farci capire, di spiegare, mentre, spesso, è sufficiente (e la pratica clinica lo conferma), aiutare l'Altro in ciò che davvero ha omesso: il suo dispiegarsi verso di noi, per noi, in noi, che è causa della crisi.

Come suggerisce Blaise Pascal allo scettico che desidera diventare credente: "Vai in chiesa tutti i giorni, inginocchiati, prega... La fede verrà da sé".

Allo stesso modo debbono essere curati coloro che sono colpiti dalla crisi dell'amore: accompagnati a dispiegare il proprio corpo emotivo ad agire con l'Altro e per l'Altro, affinché, attraverso questo dis-piegarsi all'Altro, possano tornare a scoprire un nuovo modo di amarsi e di essere amati e, in questa scoperta, provare trovare un nuovo ben-essere di individui e di coppia ma, soprattutto, quella speranza di felicità che a quel ben-essere dà sostanza e senso e, attraverso l'ausilio di un'immaginazione sempre feconda, aiuta a spostarsi nel futuro, imparando a condividere e sperimentare il loro progetto di vita insieme.

Sesso Pos-sesso

Come anticipavamo nelle conclusioni del precedente post ("Sesso giocondo"), assai più frequentemente di quanto si confessi, il sesso si esprime, anche nella nefanda tentazione del pos-sesso, laddove l’amore perde ogni spazio per esprimersi e si contorce sul sé inaridendolo, a volte persino annientandolo con varie forme di violenza psichica e fisica, e non necessariamente così manifesta da essere unanimemente condannabile.

Si tratta, di una vocazione che ha le sue radici nella più profonda tradizione dove era la donna ad essere posseduta ossia ad accogliere in sé il sesso maschile, ma che rimanda anche (delle volte le coincidenze…) all'essere invasa da spiriti demoniaci e per questo bruciata sul rogo, non dissimilmente dai tanti femminicidi che pervadono la cronaca quotidiana.

Tale riferimento, per quanto condannato, anche oggi non ha smesso di mostrare il suo tragico volto, nonostante il processo di liberazione individuale abbia dispiegato, anzitutto per la posseduta, la possibilità di affrancarsi dalle catene della gravidanza e del matrimonio, inaugurando, di fatto, l’opportunità di una scelta che il maschio possessore non sembra aver ancora davvero accettato e integrato.

Di questa mattanza, condotta nel luogo che ci illudiamo più sicuro, la nostra casa (dalle statistiche i delitti in famiglia, quantomeno in Italia, sono oggi più numerosi di quelli commessi dalle varie mafie nazionali), la dinamica del pos-sesso ha profonde responsabilità e con essa l’assenza di un’educazione al riconoscimento delle sue forme e alla loro gestione.

Fin da bambini veniamo educati secondo la logica del possesso, veicolata dalle relazioni che gli adulti intrattengono con le cose e le persone e, in primo luogo, con quella persona che è il di noi bambino. Bambino e genitori, infatti, sperimentano un rapporto ambivalente di possesso e dipendenza che è naturale e necessario allo sviluppo del neonato ma che, altrettanto necessariamente, deve trovare i modi e i tempi per affrancarsi dalla sua pericolosa voracità.

Il meccanismo psicologico sotteso che il bambino introita, risponde ad un inevitabile sillogismo che così traduce il significato dell’amore: «Io sono dei miei genitori, loro mi amano e la mia vita dipende da loro e dal loro amore; amare significa, dunque, possedere l’oggetto amato e fare in modo che questi mi sia dipendente».

La possessività, fa dunque il suo esordio nei primissimi anni di vita e si manifesta, in primo luogo, nel rapporto con la madre con cui, oltre alla dipendenza, il bambino sperimenta la difficoltà, o incapacità, a reggere le frustrazioni laddove la relazione con la madre sfugge all'esclusività, ma parimenti sperimenta (o dovrebbe sperimentare) le modalità per reggere tali frustrazioni e superarle.

Queste strategie di possesso e dipendenza che la specie umana ha escogitato per assicurare la crescita dei suoi esemplari, trovano oggi particolare risonanza di fronte, dicevamo, all'emancipazione femminile che, quantomeno nel rapporto con il partner, ha fatto saltare il banco delle millenarie certezze, rifiutando la dipendenza e negandosi al possesso.

Peccato però che, mentre il femminile rivendicava la sua legittima indipendenza, forse per non sfuggire totalmente all'imprinting dell’infanzia, amplificava, o almeno non riduceva, il suo rapporto di possesso nei confronti dei figli, impedendo che anche questi potessero compiere il loro necessario percorso di emancipazione dal rapporto genitoriale. Anzi, per questa e tutta una serie di complesse ragioni socioculturali, mai come oggi genitori e figli vivono una relazione di possesso e dipendenza da cui fanno sempre più fatica, e spesso non riescono, a svincolarsi.

Così, non solo la dinamica del pos-sesso continua a perpetuarsi, ma rischia, per molti adulti, di non trovare più soggetti capaci di gratificarla, entrando in un cortocircuito frustrante in cui il nostro bisogno di amore sembra costantemente respinto, non perché l’Altro davvero non ci ama, ma perché, rifiutando dipendenza e possesso, nega l’unico modo che conosciamo di amare e essere amati.

Quando l'amore non è stato adeguatamente educato, anzitutto attraverso l’esplicito agire dei genitori, a viversi in primo luogo come promozione della libertà dell’Altro, anzi, direi di più: esplicitamente allenato a superare l’indispensabile ingombro psicologico della dipendenza che abbiamo vissuto da bambini, sperimentando, il prima possibile, forme adeguate di allontanamento e distacco genitoriale (a cominciare dall'allontanamento dal talamo nuziale che oggi sembra un topos che attraversa la gran parte delle coppie che si trovano a dividere il luogo della loro intimità con i figli ben oltre qualsiasi ragionevole età di quest’ultimi), allora rischia di non spezzare la catena logica consequenziale che lo vuole associato al possesso.

Il sesso come possesso, rischia allora di diventare un’arma per soggiogare l’Altro e non -appunto-, come più volte abbiamo rivendicato in questo blog, un gioco per liberarlo.
Come anticipavamo nelle conclusioni del precedente post ("Sesso giocondo"), assai più frequentemente di quanto si confessi, il sesso si esprime, anche nella nefanda tentazione del pos-sesso, laddove l’amore perde ogni spazio per esprimersi e si contorce sul sé inaridendolo, a volte persino annientandolo con varie forme di violenza psichica e fisica, e non necessariamente così manifesta da essere unanimemente condannabile.

Si tratta, di una vocazione che ha le sue radici nella più profonda tradizione dove era la donna ad essere posseduta ossia ad accogliere in sé il sesso maschile, ma che rimanda anche (delle volte le coincidenze…) all'essere invasa da spiriti demoniaci e per questo bruciata sul rogo, non dissimilmente dai tanti femminicidi che pervadono la cronaca quotidiana.

Tale riferimento, per quanto condannato, anche oggi non ha smesso di mostrare il suo tragico volto, nonostante il processo di liberazione individuale abbia dispiegato, anzitutto per la posseduta, la possibilità di affrancarsi dalle catene della gravidanza e del matrimonio, inaugurando, di fatto, l’opportunità di una scelta che il maschio possessore non sembra aver ancora davvero accettato e integrato.

Di questa mattanza, condotta nel luogo che ci illudiamo più sicuro, la nostra casa (dalle statistiche i delitti in famiglia, quantomeno in Italia, sono oggi più numerosi di quelli commessi dalle varie mafie nazionali), la dinamica del pos-sesso ha profonde responsabilità e con essa l’assenza di un’educazione al riconoscimento delle sue forme e alla loro gestione.

Fin da bambini veniamo educati secondo la logica del possesso, veicolata dalle relazioni che gli adulti intrattengono con le cose e le persone e, in primo luogo, con quella persona che è il di noi bambino. Bambino e genitori, infatti, sperimentano un rapporto ambivalente di possesso e dipendenza che è naturale e necessario allo sviluppo del neonato ma che, altrettanto necessariamente, deve trovare i modi e i tempi per affrancarsi dalla sua pericolosa voracità.

Il meccanismo psicologico sotteso che il bambino introita, risponde ad un inevitabile sillogismo che così traduce il significato dell’amore: «Io sono dei miei genitori, loro mi amano e la mia vita dipende da loro e dal loro amore; amare significa, dunque, possedere l’oggetto amato e fare in modo che questi mi sia dipendente».

La possessività, fa dunque il suo esordio nei primissimi anni di vita e si manifesta, in primo luogo, nel rapporto con la madre con cui, oltre alla dipendenza, il bambino sperimenta la difficoltà, o incapacità, a reggere le frustrazioni laddove la relazione con la madre sfugge all'esclusività, ma parimenti sperimenta (o dovrebbe sperimentare) le modalità per reggere tali frustrazioni e superarle.

Queste strategie di possesso e dipendenza che la specie umana ha escogitato per assicurare la crescita dei suoi esemplari, trovano oggi particolare risonanza di fronte, dicevamo, all'emancipazione femminile che, quantomeno nel rapporto con il partner, ha fatto saltare il banco delle millenarie certezze, rifiutando la dipendenza e negandosi al possesso.

Peccato però che, mentre il femminile rivendicava la sua legittima indipendenza, forse per non sfuggire totalmente all'imprinting dell’infanzia, amplificava, o almeno non riduceva, il suo rapporto di possesso nei confronti dei figli, impedendo che anche questi potessero compiere il loro necessario percorso di emancipazione dal rapporto genitoriale. Anzi, per questa e tutta una serie di complesse ragioni socioculturali, mai come oggi genitori e figli vivono una relazione di possesso e dipendenza da cui fanno sempre più fatica, e spesso non riescono, a svincolarsi.

Così, non solo la dinamica del pos-sesso continua a perpetuarsi, ma rischia, per molti adulti, di non trovare più soggetti capaci di gratificarla, entrando in un cortocircuito frustrante in cui il nostro bisogno di amore sembra costantemente respinto, non perché l’Altro davvero non ci ama, ma perché, rifiutando dipendenza e possesso, nega l’unico modo che conosciamo di amare e essere amati.

Quando l'amore non è stato adeguatamente educato, anzitutto attraverso l’esplicito agire dei genitori, a viversi in primo luogo come promozione della libertà dell’Altro, anzi, direi di più: esplicitamente allenato a superare l’indispensabile ingombro psicologico della dipendenza che abbiamo vissuto da bambini, sperimentando, il prima possibile, forme adeguate di allontanamento e distacco genitoriale (a cominciare dall'allontanamento dal talamo nuziale che oggi sembra un topos che attraversa la gran parte delle coppie che si trovano a dividere il luogo della loro intimità con i figli ben oltre qualsiasi ragionevole età di quest’ultimi), allora rischia di non spezzare la catena logica consequenziale che lo vuole associato al possesso.

Il sesso come possesso, rischia allora di diventare un’arma per soggiogare l’Altro e non -appunto-, come più volte abbiamo rivendicato in questo blog, un gioco per liberarlo.

La paralisi del dis-accordo


Nel post "Il gioco dell'amore: accordarsi" abbiamo visto uno dei possibili percorsi che le coppie in dis-accordo possono intraprendere per provare -appunto- ad accordarsi, individuando, cioè, una o più soluzioni capaci di risolvere positivamente il loro conflitto (piccolo o grande che sia), facendo lo sforzo di regalarsi la possibilità di vivere la conflittualità non come condizione necessariamente negativa da esecrare o respingere aprioristicamente, né come condizione usualmente distruttiva dalla quale farsi trascinare per imporre all'Altro le proprie ragioni. Bensì il conflitto come occasione di un confronto che si apre costruttivamente alla crisi, intesa nella sua accezione di "scelta" (greco: krisis) e porta, procedendo in divenire, ad una qualche forma di evoluzione.


Nel post "Il gioco dell'amore: accordarsi" abbiamo visto uno dei possibili percorsi che le coppie in dis-accordo possono intraprendere per provare -appunto- ad accordarsi, individuando, cioè, una o più soluzioni capaci di risolvere positivamente il loro conflitto (piccolo o grande che sia), facendo lo sforzo di regalarsi la possibilità di vivere la conflittualità non come condizione necessariamente negativa da esecrare o respingere aprioristicamente, né come condizione usualmente distruttiva dalla quale farsi trascinare per imporre all'Altro le proprie ragioni. Bensì il conflitto come occasione di un confronto che si apre costruttivamente alla crisi, intesa nella sua accezione di "scelta" (greco: krisis) e porta, procedendo in divenire, ad una qualche forma di evoluzione.

Passione e Matrimonio


Con troppa facile ingenuità siamo abituati a pensare che amore coniugale e passione (desiderio), dimorino naturalmente sotto lo stesso tetto, ma, in verità, l'amore coniugale vuole ciò che il desiderio respinge e difficilmente è dato, se non per il breve periodo dell’innamoramento (settimane? mesi? tre/quattro anni, come dicono i biochimici dell’amore?), di fare esperienza di questi due sentimenti insieme.


Con troppa facile ingenuità siamo abituati a pensare che amore coniugale e passione (desiderio), dimorino naturalmente sotto lo stesso tetto, ma, in verità, l'amore coniugale vuole ciò che il desiderio respinge e difficilmente è dato, se non per il breve periodo dell’innamoramento (settimane? mesi? tre/quattro anni, come dicono i biochimici dell’amore?), di fare esperienza di questi due sentimenti insieme.

 
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