Nel post "Perdere se stessi" abbiamo ragionato attorno a quella dimensione energetica, generativa e rigenerativa dell'amore che si configura nella ricerca dell'Altro non (come spesso sembra suggerirci il luogo comune) quale catalizzatore di sicurezze, specchio in cui riflettere la mia identità come io la credo e la esercito, affinché l'immagine che ho di me ne venga confermata, ma -paradossalmente- come labirinto in cui smarrirsi, stimolo all'incontro con tutto ciò che, diverso da me, in potenza o in latenza, comunque mi abita, fosse solo perché l'incontro con l'Altro l'ha fecondato.
Ciò detto, questo consegnarsi all’Altro, questo perdersi nei labirinti cui l'Altro ci introduce quale viatico per scoprire prolifici luoghi di un «io» sconosciuto o rimosso, sembra essere oggi il compito più difficile dell’uomo post-moderno: lasciarsi alterare aprendosi a ciò che non siamo, tanto più, quanto più quel "ciò che non siamo" è l'uomo o la donna che diciamo di amare e con cui costruiamo, giorno per giorno, un mondo in cui «io» è «tu» si fondono in quel «noi» che, almeno per un po' (alcuni promettono "per sempre") sarà la nostra sorte.
La cosa bizzarra è che, proprio di quel nostro «io» sconosciuto o nascosto che l'Altro ci mostra, spesso ci innamoriamo, riconoscendo in lui qualcuno che è come-me ma non-è-me e, per questo, mi attrae; quel lui o quella lei che mi somiglia, ma mai fino al punto da essere coincidente e per questo muove in me qualcosa di profondo che in un primo momento mi dispone a mettere a repentaglio la mia identità ma poi, quando l'effetto destabilizzante dell'innamoramento si esaurisce, mi fa tornare a vigilare con atteggiamenti protettivi e conservativi.
In questa naturale disposizione svolgono un compito importante le culture in cui sono inseriti gli umani con le loro diverse modalità di stabilire i modi di amare che, nel tempo e nello spazio, costruiscono regole, riti e veri e propri miti per partecipare al gioco dell'amore -si pensi, per dirne una, ai differenti canoni estetici che hanno attraversato le epoche e hanno fatto e fanno da preludio agli amori, alimentando gli immaginari dell’attrazione.
Ciò detto, il problema degli amori contemporanei, l'abbiamo più volte accennato, é che, almeno nel nostro occidente, sembrano aver fortemente ridotto, in numero e in potenza, quelle regole, quei riti e quei miti che, pur in tutta la loro discutibilità, producevano una stabilizzazione (non sempre adeguata, non sempre sana) delle relazioni di coppia (si pensi al mito dell'indissolubilità del matrimonio); mentre, per contro, sembrano essere aumentate le mitologie che minano gli amori, trasformando questi miti in veri e propri li-miti.
Ora, senza mettere ovviamente in discussone profonde e positive conquiste sociali, credo sia opportuno riflettere su questi li-miti, affinché se ne possano i vedere i pericoli cercando di subirne il meno possibile gli effetti negativi.
Ognuno di questi li-miti poggia su quella resistenza all’intrusione altrui che abbiamo provato a descrivere nel post "Perdere se stessi": un sorta di barriera, di muro più o meno invalicabile posto di fronte alla possibilità che l’Altro mi sconfini, mi attraversi, disvelandomi.
Nei prossimi post cacheremo di fare luce su questi li-miti.
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