Li-miti dell'Amore: il Mito dell'indipendenza


Tra i vari li-miti dell'amore contemporaneo, che nel post precedente abbiamo cercato di confinare descrivendone il senso e la provenienza, uno di quelli che maggiormente minano le coppie odierne è, a mio avviso, quello dell’indipendenza o, meglio, di una indipendenza male educata che, cioè, ha smarrito quell'equilibrio instabile su cui si regge la sua costruttiva configurazione, quell'equilibrio che si giostra tra autonomia e dipendenza e prende il nome di “interdipendenza”, condizione in cui entrambe le parti in gioco si dimostrano capaci di vivere, con benessere, i momenti di separazione riconoscendo i bisogni dell’Altro e operando in funzione del ricongiungimento.

Oggi, invece, il concetto di indipendenza nella coppia è spesso confuso con la volontà di essere e fare ciò che si vuole, anziché con la voglia di condividersi con l’Altro intrecciando con lui le proprie esperienze. Allo stesso tempo, lavorano in questo senso anche fantasmi più mefistofelici (di cui non mancheremo di occuparci nei prossimi post) dove la dipendenza dall’Altro è associata con l’annullamento nell’Altro.

Le esigenze economiche e di autodeterminazione, i ritmi lavorativi e i vari bisogni indotti degli uomini e delle donne contemporanee, hanno già di per sé ridotto la vita di coppia a esigui brandelli di tempo da consumarsi nei pasti della cena e, forse, ma non sempre, alle ricorrenze festive del fine settimana, delle vacanze e delle feste comandate. Il mio lavoro, i miei hobby, i miei amici, i miei divertimenti, è diventato un pronome possessivo che non riesce più a trovare il suo plurale per egoismo o paura di smarrirsi in esso.

Sono coppie che, ad esempio, pur vivendo insieme, mantengono sfitta una delle case in cui vivevano da single (“Perché non si sa mai…”) e credono che indipendenza sia avere conti correnti rigorosamente separati in cui versare il frutto delle fatiche individuali per poi dividersi, con scrupolosa precisione, le spese di casa e gli acquisti settimanali, trasformando il concetto stesso di vita insieme, in un coinquilinaggio tra studenti fuori sede. Non perché sia evidentemente importante avere un unico conto corrente, ma perché tali sistemi di relazione somigliano a strategie difensive in cui appare fin troppo evidente come ad emergere su tutto sia la volontà di non compromettersi e, comunque, di garantirsi, prima di ogni altra cosa, una qualche via di fuga.

Non che in passato le cose andassero differentemente. La differenza mi sembra sia, ancora una volta, da constatare nel fatto che oggi scegliamo il nostro amore (o ci illudiamo di sceglierlo): tra le infinite possibilità delle nostre relazioni scegliamo quell'uomo o quella donna perché ne siamo innamorati e ci piace stare con lui, e desideriamo che la maggior parte del nostro tempo scorra con lui al nostro fianco perché, amandolo, vogliamo dedicare a lui tutta la nostra vita (o almeno così hanno abbrivo, o dovrebbero avere abbrivo, tutte le storie d'amore che per loro natura non possono nascere con una qualche data di scadenza).

Tutto ciò, evidentemente, non significa pensarsi in un castrante isolamento dove l'Altro finisce per diventare la sola cartina tornasole che certifica le nostre esistenze ma, evidentemente, non può memento essere che l'Altro con cui abbiamo deciso di "condi-vivere" sia ritrovi retrocesso in fondo alla scala delle nostre priorità, dopo il (fondamentale) lavoro, i (doversi) genitori, gli (indispensabili) amici, e non prima dei miei (irrinunciabili) hobby.

Se questo succede, e purtroppo per molte (troppe) coppie, trascorsi i primi 3/4 anni, succede; allora diviene necessario fare una profonda riflessione sul perché succede, provando ad andare al di là di ogni sacrosanta motivazione dei singoli casi, per osservare il fenomeno nella sua configurazione pandemica.

Questi scenari, solo apparentemente innocui, sono, infatti, prima di ogni episodica personale che spinge questa o l'altra coppia a separarsi, il segno più eclatante di un modo di vivere e pensare la vita di coppia che ha perduto la sua archetipica ragione d'essere e, nell'incontro con l'Altro, non sembra più in grado di garantire quello che, un po' meccanicamente, potremmo definire il raddoppio di sé che, proprio nell'incontro con un Altro a noi così prossimo, tanto vicino come nessuno, significa, almeno in potenza, raddoppio delle esperienze, delle risorse, finanche quelle più cerebrali e profonde, ma anche raddoppio delle opportunità di soccorso, di conforto, di cura, etc.

L'idea di coppia d'amore, in questa nostra strana e difficile contemporaneità, sembra invece il risultato di due individualità che si fanno contigue ma mai fino al punto di raddoppiarsi veramente se non, a volte, per quel che concerne alcune sparute aree, mentre molte (troppe) risorse rimangono esclusivo dominio delle singole e riservate individualità, mettendo così una seria ipoteca su quel “per sempre” su quale, seppur fantasiosamente e faticosamente, dovrebbe -appunto- erigersi ogni relazione amorosa che voglia almeno provare a stare stabilmente e felicemente in ogni "per adesso".

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