Sulla sponda apparentemente opposta della mitologia che abbiamo cercato di descrivere nel post "Il mito dell'indipendenza" sembra permanere un atteggiamento più vetusto, una tempo tanto più frequente, soprattutto tra le donne che ne erano, in diversi modi, soggiogate, ma che, anche oggi, non è meno ricorrente e, certamente, non meno fallimentare, tanto da aver compromesso fortemente anche il genere maschile.
Si tratta del tentativo di sagomarsi ai desiderata dell’Altro, fino a diventare come presumiamo che l’Altro ci vuole.
Si tratta del tentativo di sagomarsi ai desiderata dell’Altro, fino a diventare come presumiamo che l’Altro ci vuole.
Coloro che intraprendono questo viaggio finiscono così per rinunciare a se stessi, trasformandosi, di fatto, in una sorta di clone dei desideri altrui che, tuttavia, appena trasformatosi, smette immediatamente di essere attraente, perché troppo uguale all’Altro, perché nella sua rincorsa ad essere come l’Altro lo vuole ha annullato quella distanza di cui il desiderio si nutre, come abbiamo provato a descrivere nel post "Educare il desiderio".
Spesso si tratta di soggetti deboli, che, per differenti motivi, non sono riusciti, nell’arco della loro vita, a costruirsi una precisa identità, hanno fallito, o solo parzialmente compiuto, il processo di individuazione e ora, proprio nel rapporto di coppia, si illudono di trovare un escamotage per darsi delle più concrete generalità psichiche: rubandole, di fatto, all’Altro.
Così, sotto questo slancio di apparente altruismo, di un amore che sembra tanto predisposto all'Altro, si cela, in verità, il suo esatto contrario: un egoismo tanto esacerbato da rendere impossibile un benefico rapporto amoroso.
Quando questo "disturbo" diventa eccessivo può essere classificato come una vera e propria patologia i cui i protagonisti faticano a vivere una vita soddisfacente, poiché la loro vita è quella dell'Altro cui sono succubi. Così si trascinano compiendo sforzi disumani affinché l'Altro li apprezzi per quello che non sono, buttando nella spazzatura, ogni volta, la propria autostima, in una sorta di cortocircuito massacrante per cui ho bisogno di sagomarmi all'amato per trovare un'identità che non possiedo e mi illudo di stare bene quando questo accade ma, poi, immediatamente sto malissimo quando mi accorgo che non è me che egli ama ma ciò che io fingo di essere per compiacerlo.
Sono uomini e donne che vivono in balia dell'Altro: di un suo sorriso, di un suo gesto di approvazione; totalmente ingoiati da ogni storia d'amore da cui poi, puntualmente, finiscono per essere sputati fuori, poiché di un uomo e di una donna così non ci si può davvero innamorare, solo, forse, godere della loro prostrata ammirazione che, per un istante inganna e fa illudere di essere portati su di un piedistallo che ben presto rivela essere d'argilla.
Come osservavamo nel post: "Perdere se stessi": quando l'Altro non è alterante, ben presto l'amore diventa inesistente.
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