L'utopia del cambiamento

Non più tardi di ieri, nel post "La costruzione di un amore diverso", accennavamo alla necessità del mediatore di addentarsi nel territorio dell'utopia, per permettere alle parti di conquistare quell'amore -appunto- diverso spesso ostacolato, quando non addirittura negato, dai molteplici luoghi comuni che, nel corso dell'umana civiltà, abbiamo introitato, partorendo, quasi esclusivamente, la sola incivile soluzione dello scontro, del conflitto più o meno distruttivo che prevede, sempre e comunque, la presenza di almeno uno sconfitto e, spesso, nelle situazioni di divorzio o separazione, produce più vinti che vincenti.

Di questo si chiacchiera, molto informalmente e amabilmente, nell'intervista che ho avuto il piacere di rilasciare a Giuseppe Leone, mediatore italo-americano che, dalle Haway (forte invidia) dirige, per l'Association for Conflict Resolution -Hawaii Chapter, il Virtual Mediation Lab, un interessantissimo progetto internazionale che sta sperimentando e monitorando l'uso di Skipe, e comunque della teleconferenza, per la gestione di mediazioni a distanza attraverso il modello trasformativo.

Torneremo a parlare della possibilità di mediazioni virtuali, di cui personalmente conservo, ad oggi, una sola esperienza che mi piacerebbe condividere con il lettori di questo blog.

Nell'intervista con Leone ci siamo, invece, concentrati sul discusso (in Italia come negli Staes) modello trasformativo la cui utopia, pur con alcuni distinguo, condivido profondamente e di cui riferisco tecniche e analisi, in parte nell'intervista e, più profusamente, nel libro "L'Amore alla Fine dell'Amore" cui questo blog si inspira.

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