Visualizzazione post con etichetta fecondo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta fecondo. Mostra tutti i post

Dispiegare l'Amore

"Dispiegare senza spiegare...", concludevamo nel nostro ultimo post ("L'amore poeta"). Questo è il profondo mistero e, parimenti, la cura dell'amore: abbandonarsi, non trattenere, non ridurre, non negare l'afflato creativo che, prima, ci induce con spinta naturale a promulgare l'irregolare battito del cuore dell'innamoramento e, poi, ci seduce a emettere lo stesso battito attraverso l'artificiale invenzione di ogni gioco d'amore. 

Agire. Agire. Agire o, meglio: darsi prima di spiegarsi, affinché ogni darsi non venga tradito da inopportune traduzioni che sempre sminuiscono ogni spontaneità di questo dono all'Altro, al mondo, alla vita... Perché, come diceva il saggio moto di Daniele Oppi: "Ci sono molte cose da dire e da fare, ma da dire solamente non ce n'è".

L'amore, nella sua pragmatica, svela così il segreto della vita o, meglio, della vitalità che proprio l'innamorato più di tutti conosce. Una vitalità che è conoscenza allo stato puro e che contraddice il sistema riflessivo con cui l'umanità è cresciuta negli ultimi millenni, quel sistema che generalmente prevede che, appunto, la spiegazione anticipi l'azione (che è dispiegazione di sé nel mondo). L'amore mette, invece, in moto un altro mondo dove è l'agire che induce al capire, dove è amando e giocando all'amore che com-prendo (prendo dentro di me) l'amore e me ne prendo cura.

Non è un caso che ogni invocazione di sicurezza che si traduce in un: "Perché mi ami?", porti con sé più rischi che benefici, insieme all'altissima probabilità che l'amore dell'Altro non corrisponda alle aspettative dei miei rassicuranti desiderata, a quegli aspetti della mia identità che vorrei che lei/lui amasse: "Come," ad esempio, "il tuo bellissimo naso," direbbe l'amato, che di quel naso ama proprio la sua imperfezione, mentre tu da una vita stai sognando di dargli un ritocchino chirurgico...

Purtroppo, la maggioranza delle nostre convinzioni si basano sull'idea cartesiana che la consapevolezza debba precedere l'azione, che spiegare e capire debbano venire prima di agire. Così siamo cresciuti dentro un sistema bloccato che, spesso, se non capisce finisce per non agire.

Questo accade anche nell'amore, in primo luogo quando va in crisi e chiediamo all'Altro di farci capire, di spiegare, mentre, spesso, è sufficiente (e la pratica clinica lo conferma), aiutare l'Altro in ciò che davvero ha omesso: il suo dispiegarsi verso di noi, per noi, in noi, che è causa della crisi.

Come suggerisce Blaise Pascal allo scettico che desidera diventare credente: "Vai in chiesa tutti i giorni, inginocchiati, prega... La fede verrà da sé".

Allo stesso modo debbono essere curati coloro che sono colpiti dalla crisi dell'amore: accompagnati a dispiegare il proprio corpo emotivo ad agire con l'Altro e per l'Altro, affinché, attraverso questo dis-piegarsi all'Altro, possano tornare a scoprire un nuovo modo di amarsi e di essere amati e, in questa scoperta, provare trovare un nuovo ben-essere di individui e di coppia ma, soprattutto, quella speranza di felicità che a quel ben-essere dà sostanza e senso e, attraverso l'ausilio di un'immaginazione sempre feconda, aiuta a spostarsi nel futuro, imparando a condividere e sperimentare il loro progetto di vita insieme.

"Dispiegare senza spiegare...", concludevamo nel nostro ultimo post ("L'amore poeta"). Questo è il profondo mistero e, parimenti, la cura dell'amore: abbandonarsi, non trattenere, non ridurre, non negare l'afflato creativo che, prima, ci induce con spinta naturale a promulgare l'irregolare battito del cuore dell'innamoramento e, poi, ci seduce a emettere lo stesso battito attraverso l'artificiale invenzione di ogni gioco d'amore. 

Agire. Agire. Agire o, meglio: darsi prima di spiegarsi, affinché ogni darsi non venga tradito da inopportune traduzioni che sempre sminuiscono ogni spontaneità di questo dono all'Altro, al mondo, alla vita... Perché, come diceva il saggio moto di Daniele Oppi: "Ci sono molte cose da dire e da fare, ma da dire solamente non ce n'è".

L'amore, nella sua pragmatica, svela così il segreto della vita o, meglio, della vitalità che proprio l'innamorato più di tutti conosce. Una vitalità che è conoscenza allo stato puro e che contraddice il sistema riflessivo con cui l'umanità è cresciuta negli ultimi millenni, quel sistema che generalmente prevede che, appunto, la spiegazione anticipi l'azione (che è dispiegazione di sé nel mondo). L'amore mette, invece, in moto un altro mondo dove è l'agire che induce al capire, dove è amando e giocando all'amore che com-prendo (prendo dentro di me) l'amore e me ne prendo cura.

Non è un caso che ogni invocazione di sicurezza che si traduce in un: "Perché mi ami?", porti con sé più rischi che benefici, insieme all'altissima probabilità che l'amore dell'Altro non corrisponda alle aspettative dei miei rassicuranti desiderata, a quegli aspetti della mia identità che vorrei che lei/lui amasse: "Come," ad esempio, "il tuo bellissimo naso," direbbe l'amato, che di quel naso ama proprio la sua imperfezione, mentre tu da una vita stai sognando di dargli un ritocchino chirurgico...

Purtroppo, la maggioranza delle nostre convinzioni si basano sull'idea cartesiana che la consapevolezza debba precedere l'azione, che spiegare e capire debbano venire prima di agire. Così siamo cresciuti dentro un sistema bloccato che, spesso, se non capisce finisce per non agire.

Questo accade anche nell'amore, in primo luogo quando va in crisi e chiediamo all'Altro di farci capire, di spiegare, mentre, spesso, è sufficiente (e la pratica clinica lo conferma), aiutare l'Altro in ciò che davvero ha omesso: il suo dispiegarsi verso di noi, per noi, in noi, che è causa della crisi.

Come suggerisce Blaise Pascal allo scettico che desidera diventare credente: "Vai in chiesa tutti i giorni, inginocchiati, prega... La fede verrà da sé".

Allo stesso modo debbono essere curati coloro che sono colpiti dalla crisi dell'amore: accompagnati a dispiegare il proprio corpo emotivo ad agire con l'Altro e per l'Altro, affinché, attraverso questo dis-piegarsi all'Altro, possano tornare a scoprire un nuovo modo di amarsi e di essere amati e, in questa scoperta, provare trovare un nuovo ben-essere di individui e di coppia ma, soprattutto, quella speranza di felicità che a quel ben-essere dà sostanza e senso e, attraverso l'ausilio di un'immaginazione sempre feconda, aiuta a spostarsi nel futuro, imparando a condividere e sperimentare il loro progetto di vita insieme.

Fecondati ogni volta che ami


Come accennavamo nel post "Nelle mani dell'Altro", la nascita di un figlio, rappresenta (o dovrebbe rappresentare) prima di ogni altra cosa, il segno di una disposizione alla trasformazione: qualcosa che ero io e che è diventato altro da me, proprio grazie a un incontro d'amore con lui o con lei che mi hanno alterato, da cui mi sono lasciato alterare, cui mi sono abbandonato fino a permetterle/gli di entrare in me e mutarmi, cambiarmi tanto da fare di me un Altro-me che mi somiglia, ma che non sono io.

Questo dovrebbe succedere nell'amore: far sì che nasca un terzo meticcio, qualcosa che non sono io, che non sei tu, ma che siamo noi. E, forse, questo riferisce il comandamento cristiano quando impone: "Non commettere atti impuri" (a destra la locandina dell'omonimo film di Giulio Petroni con Barbara Bouchet che all'epoca, 1971, promosse non pochi atti impuri) ossia, secondo l'esegesi: non disperdere il seme o, in altri termini: essere fecondi in ogni atto d'amore. 


Come accennavamo nel post "Nelle mani dell'Altro", la nascita di un figlio, rappresenta (o dovrebbe rappresentare) prima di ogni altra cosa, il segno di una disposizione alla trasformazione: qualcosa che ero io e che è diventato altro da me, proprio grazie a un incontro d'amore con lui o con lei che mi hanno alterato, da cui mi sono lasciato alterare, cui mi sono abbandonato fino a permetterle/gli di entrare in me e mutarmi, cambiarmi tanto da fare di me un Altro-me che mi somiglia, ma che non sono io.

Questo dovrebbe succedere nell'amore: far sì che nasca un terzo meticcio, qualcosa che non sono io, che non sei tu, ma che siamo noi. E, forse, questo riferisce il comandamento cristiano quando impone: "Non commettere atti impuri" (a destra la locandina dell'omonimo film di Giulio Petroni con Barbara Bouchet che all'epoca, 1971, promosse non pochi atti impuri) ossia, secondo l'esegesi: non disperdere il seme o, in altri termini: essere fecondi in ogni atto d'amore. 

 
amoreCiao Copyright © 2012 by Massimo Silvano Galli