“Ogni uomo,” scriveva il grande poeta Kahlil Gibran, “ama due donne: l'una l'ha creata dalla sua immaginazione, l'altra deve ancora nascere” (stesso dicasi, ovviamente, per le donne nei confronti dei maschietti).
Con questa ironia Gibran ci aiuta a comprendere il valore eminentemente immaginifico dell'amore, la sua essenza irrimediabilmente proiettiva con cui ogni innamorato investe l'amato, almeno finché il gioco del "come tu mi vuoi" o del "come tu vuoi che io ti voglia", regge lo sforzo della reciproca volontà di soddisfarsi, accogliersi, desiderarsi...
Come riflettevano nel post "La verità delle menzogne" l'Altro che amiamo, essendo essenzialmente una nostra proiezione, non esiste, mai! Ed è questa sua ineluttabile inconsistenza a costringerci costantemente a presentificarlo, a chiedergli costantemente di presentificarsi, pena la sua possibile dissoluzione.
D'altronde, quale altro tempo, se non il presente, potrebbe dare corpo a un oggetto sostanzialmente frutto della nostra proiezione? Il presente, infatti, è il solo tempo che non c'è ma, contemporaneamente e paradossalmente, il presente è anche il solo tempo che possa essere (almeno per ora) fisicamente attraversato, concretamente vissuto, in quanto il resto è… già stato e, quindi, solo contemplabile (il passato); oppure… lo sarà, e si spalanca alle infinite alternative dell’incertezza (il futuro). Il presente, al contrario, è il luogo dell’azione, della scelta: “La forma dell’apparizione della volontà,” dice Shopenhauer.
Il presente, lo avevano già capito gli Stoici, è il tempo limite tra l’immobile passato e l’ineffabile futuro, e per questo non è mai; ridotto ad un attimo infinitesimale, impossibile a cogliersi veramente. “Non scenderai due volte nello stesso fiume,” ci illumina Eraclito nel suo memorabile “frammento 91”. Il presente, insomma, si scioglie nel passato ad una velocità pari alla sua capacità di coniugarsi al futuro.
Il presente, lo avevano già capito gli Stoici, è il tempo limite tra l’immobile passato e l’ineffabile futuro, e per questo non è mai; ridotto ad un attimo infinitesimale, impossibile a cogliersi veramente. “Non scenderai due volte nello stesso fiume,” ci illumina Eraclito nel suo memorabile “frammento 91”. Il presente, insomma, si scioglie nel passato ad una velocità pari alla sua capacità di coniugarsi al futuro.
In questo non tempo si colloca l'amore, qualcosa che si consuma, o si dovrebbe consumare, nell'istante stesso in cui si rigenera, qualcosa in perenne movimento e fuga che bene restituisce quell'idea dell'amore come elemento propulsivo, come desiderio dell'Altro che non si esaurisce perché costantemente rinnovato. Ma è davvero questo l'amore? Oppure confondiamo l'amore passionale con quella cosa che potremmo chiamare "amore coniugale"?
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