Promuovere le differenze

Come abbiamo cercato diffusamente di esporre nei vari li-miti dell'amore descritti nei post precedenti, amare non è cercare una totale immedesimazione con l'Altro o, attraverso l'Altro, cercare di liberare se stessi, e nemmeno disconoscere la molteplicità dei ruoli che in ogni sana relazione d'amore si configurano per allitterazione e si interscambiano e si modificano a partire dal ruolo di uomo e donna, amato e amante, padre e madre, amico e amica, fratello e sorella che in diversi modi abbiamo esperito e esperiamo nel nostro processo evolutivo.

Ognuna di queste posizioni, quando non adeguatamente elastica e ibridata ma rigidamente espressa, tradisce solamente l’insicurezza e la paura di chi la rivendica o, comunque, la mancanza di un qualche tassello tras-formativo lungo quel laborioso percorso di individuazione che ci dovrebbe spingere fuori dalle nostre famiglie d'origine come soggetti capaci di stare nel mondo amandolo e trasformandolo secondo nostre attitudini, visioni, possibilità.

Amare è, invece, promuovere continuamente la differenza sapendo che questa ha ragione di esistere solo laddove sussiste una qualche relazione con qualcosa o qualcuno che sia altro dall’oggetto/soggetto posto al vaglio dell'osservazione (l'altro da me di cui ci innamoriamo); qualcosa capace di non essere tanto dipendente, estraneo, libero dall'Altro da rendere incolmabile la distanza e, quindi, impossibile qualsiasi confronto (ossia la relazione); ma, al contempo, capace di non essere come l’Altro, uguale all'Altro, sovrapposto, annullando la distanza e rendendo altrettanto impossibile il confronto (la relazione).

Come pianeti di una stessa galassia, più ci rendiamo limitrofi, più si fa forte e intensa la nostra interazione gravitazionale: corpi dotati di massa e energia che generano un campo tensoriale (conservativo, secondo la fisica classica) che attrae e respinge al contempo e, attraverso questo bellissimo e delicato gioco di attrazioni e respinte, produce la vitalizzante energia del desiderio.

Perché noi non siamo, se non per e con gli altri, e solo gravitando nell'orbita dell'Altro possiamo tanto avvicinarci da scoprire nel riflesso dei suoi occhi la possibilità di riflettere su di noi, liberando, di fatto, la differenza che ci univoca in un'esposizione carica di possibilità benefiche e rivelatrici.

Perché solo i riflessi permettono di riflettere, solo la moltiplicazione delle immagini di ciò che non siamo permette di immaginare che, da qualche parte, ci siamo e per davvero, e permette di sognare che questo «io» (a volte nascosto, a volte da celare) sia un giorno capace di incontrare un «tu», affinché insieme si possa diventare un «noi»: mutato, cambiato, in cui la somma delle parti, mentre differisce dalla totalità, rende al contempo differenti anche le parti e palesa la verità che ci completa, ossia, come bene scrive Raffaele Mantegazza: “[…] che non c’è io senza tu, che non c’è volto senza sguardo, che l’ultimo uomo sulla terra avrà un volto uniforme, come una colata grigia d’asfalto, perché non ci sarà più nessuno, uomo o donna, a ricambiare e ricercare il suo sguardo, il suo volto." a promuovere le differenze.

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