Educarci ad amarci

Nel post "amare non basta" abbiamo accennato ad un tema fondamentale di cui è intrisa ogni relazione e ogni relazione di coppia soprattutto, ma di cui spesso non siamo consapevoli: la dimensione educativa -che, sia detto per i neofiti, nulla ha a che fare con il bon-ton.

Seppur spesso innominata e persino a prescindere dalla nostra volontà, ogni relazione, di qualsivoglia natura e forma, presenta, infatti (sempre), la sua profonda natura educativa, intendendo con questa l'opportunità (ma vorrei dire l'inevitabilità) dettata dalla relazione stessa, di esaurire un qualche tipo di gap che i due soggetti in relazione presentano, data la loro entità irrimediabilmente differente.

Per alcuni versi avevamo già accennato a questa riflessione nel post "L'Altro come maestro" evidenziando lì la possibilità, a nostro avviso salvifica, che ogni attore della relazione si disponesse ad essere contemporaneamente maestro e discente per l'Altro; qui invece, sotto simil spoglia, vogliamo denunciare la necessaria volontà di educare l'Altro alla forma e alla sostanza del nostro amore.

Per comprendere fino in fondo questa condizione, dobbiamo anzitutto uscire da tutti gli stereotipi che identificano l'azione dell'educare nell'esclusivo ambito delle relazioni in cui sono implicati un adulto e un minore, in cui il primo educa e l'altro subisce, per così dire, questa educ... azione.  L'azione educativa si impone, invece, in ogni rapporto, poiché in ogni rapporto si sostanzia -appunto- un qualche tipo di differenza tra i suoi protagonisti, differenza che, affinché il rapporto perduri, deve essere anzitutto compresa e, poi, semmai, volendo, colmata. La profondità di questa azione educativa dipenderà dai confini relazionali che il rapporto ha determinato: tanto più i confini saranno contigui, tanto più l'azione sarà potente e, per quel che concerne il nostro discorrere, quanto più dovrebbe essere consapevolmente agita.
Spesso, invece, si dà per scontato o, peggio, si pretende che l'Altro apprenda senza che si immettano nella relazione le nostre necessarie procedure educative, senza che si faccia lo sforzo di fare capire e, perché no, anche com-comprendere (accogliere in sé, incarnare) al nostro amore come vogliamo essere amati.
L'amato, infatti, è attratto dalla nostra differenza e la assume come principio trainante, ma non è detto che la capisca, men che meno che la com-prenda, la faccia sua, fino, ad esempio, ad imparare a gestirla scientemente per esaudire il nostro desiderio di essere amati così e non in altro modo.
Per questo si tratta, anche in questo caso, come più volte ci é capitato di scrivere in questo blog, di un'azione educativa non spontanea, che va pensata e esercitata entrando in quella zona dell'artificio che per nulla squalifica l'amore ma anzi, oggi più che mai, gli dà la possibilità di sopravvivere.

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