Ma tu, mi desideri?

Soddisfare il desiderio non promuove il desiderio, così possiamo riassumere il senso dei post dei gironi corsi. Gli innamorati dovrebbero dunque imparare a giocare su questo sottile filo sospeso tra soddisfazione, differimento e rilancio del desiderio, affinché la cosa desiderata sia sempre potenziale e promessa, a volte sfiorata, spesso toccata, ma mai, mai raggiunta per sempre.

Jacques Lacan chiama questa ipotetica felicità irraggiungibile, a cui il desiderio patologico invece tende, il «Godimento dell’Altro». È il godimento che il soggetto suppone nell'Altro  dove l’Altro è inteso come la struttura linguistica e culturale che ci attraversa e ci predetermina.

L’essere umano, dice Lacan, nasce, infatti, nel campo dell’Altro, ed è a questo Altro a cui, quell’animale ammalato di linguaggio che è l’uomo, rivolge, fin dai primi istanti di vita, un'unica incessante domanda, seppur mascherata sotto molteplici e diversissime spoglie: “Mi desideri?”.

Il desiderio, che dà energia e senso all'umano  nasce sempre nell'Altro  nel momento in cui questi mi riconosce, nel momento in cui mi fa sentire irripetibile e insostituibile. Per questo il bambino chiede all'Altro  celandolo dietro ogni domanda, di desiderarlo e glielo chiede nell'unico modo possibile: desiderando egli stesso il desiderio di lui che sta nell'Altro  Ma si tratta, ancora una volta, di un’illusione, di un desiderio destinato ad autoalimentarsi in una perenne ricerca di soddisfacimento che non andrà ad effetto. 

Perché questo desiderio di me che l’Altro dovrebbe covare e che io desidero scovare e fare mio, altro non è, evidentemente, che l’ennesima chimera di quella felicità assoluta dietro cui si cela il desiderio di morte cui accennavamo ("Educare al desiderio: amare a zig zag"). Non potrò mai raggiungerlo, solo supporlo, per permettergli, così, di continuare ad esistere (ricordate? abbiamo citato Kahlil Gibran qualche post fa: “Ogni uomo ama due donne: una l'ha creata dalla sua immaginazione, l'altra deve ancora nascere”).

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