Sesso connesso


Come accennavamo nel post "Il mito del sesso", una delle dimensioni fondamentali che evoca l'unione sessuale è quella insita nella connessione meccanica dei corpi, quel collegarsi in cui il sesso di Uno entra in quello dell'Altro e, attraverso questo collegamento, elimina le distanze.

Ogni rapporto sessuale stabilisce, appunto, una connessione, esplicitata dall'ingresso dell’Uno nell’Altro affinché di due non solo si faccia uno solo, ma probabilmente nemmeno quello.

A questo allude, ci dice Umberto Galimberti, l'etimologia che vuole sexum derivato da nexum. Come se l’incastro dei corpi ci annullasse per permetterci di accostarci allo sconosciuto che è in noi e che solo l’Altro può attivare permettendoci di rimescolarci in lui.

Si tratta, insomma, di una specie di crossing-over identitario dove il dono totale di sé e l'accoglienza totale dell'Altro, consentono, potremmo dire: "l’eiaculazione dell’individualità" in cui Io e Tu si dissolvono.

Fare l’amore, fare sesso, equivale allora ad essere con-nesso, con-sesso, all’Altro e, attraverso l’Altro, quindi, ad altre parti di sé: quelle che eravamo o che potremmo essere, quelle potipotenziali e indifferenziate espressioni dell'io che la pragmatica concretezza del quotidiano ci costringe a sublimare e che, ogni atto d'amore, ci mostra come possibile sviluppo del nostro esistere.

Così letta la sessualità non è solo il momento del piacere e del godimento, ma restituisce tutta la sua carica formativa e tras-formativa. Il mio sesso, connesso al sesso dell’Altro, fa allora risuonare territori sconosciuti o apparentemente dimenticati da tornare a dimorare o provare a sperimentare sempre insieme all’Altro ma, questa volta, connessi con lui nella vita, per così dire, reale, rinnovando continuamente quella conoscenza di me e quel desiderio di me che rendono l’amore potenzialmente immortale.

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