Amore vacante

Si approssimano le vacanze estive descritte in mille canzoni, romanzi, film, poesie come il tempo in cui sbocciano gli amori ma anche, ci restituisce l'esperienza in mediazione, come il tempo in cui gli amori capitolano. 

Sarà forse perché (come accennavamo nel post "Ti amerò per sempre in ogni per adesso"), il più delle volte, affinché nasca un amore un altro deve perire e, se l'estate partorisce amori, lo farà pur a scapito di... 

Oppure (e qui più mi interessa speculare) perché l'amore, sia esso passionale o coniugale, tra i tanti concetti che include, reclama, seppur nei modi diversi che abbiamo più volte descritto, l'immagine della pienezza, del colmo, di una beatitudine che non abbisogna d'altro; metafore che si contrappongono a qualsivoglia vacazione che, invece, prevede necessariamente un qualche tipo di vuoto (vacante, libero, disoccupato) affinché il consueto daffare (lavoro, casa, famiglia) possa lasciare il posto alle oziose ore ("Non si lavora agosto nelle stanze / le lunghe oziose ore / mai come adesso è bello inebriarsi / di vino e di calore" F. Guccini). 

Amare, infatti, riempie, o dovrebbe riempire, anzitutto l'insopportabile vuoto della nostra congenita solitudine, quella solitudine dettata, secondo Erich Frommdalla consapevolezza di percepirci come entità separate, dalla consapevolizza della nostra breve vita, del fatto che siamo nati senza volerlo e contro la nostra volontà moriremo; che moriremo prima di quelli che amiamo, e che essi moriranno prima di noi: il senso di solitudine, di impotenza di fronte alle forze della natura e della società, ci renderebbe insopportabile l'esistenza; diventeremmo pazzi se non riuscissimo a rompere l'isolamento ("L'arte di amare", Mondadori, 1995).

Anche per questo, allora, la vacanza è foriera di nuovi amori e nuove crisi, poiché, proprio in quei giorni in cui il pieno delle nostre vite viene meno, l'Altro diventa più che mai la cartina tornasole in grado di rivelarci la sua reale capacità di colmare la nostra solitudine. 

É in quel vuoto, spogliati dalle maschere del lavoro e di tutti gli artifizi in cui è sminuzzata la nostra ordinaria identità, che ciò che siamo emerge in tutta la sua essenza, lasciando a volte trasparire un eguale vuoto che il vuoto della vacazione non riesce a riempire. 

Forse per questo "vacanza" per la gran parte delle coppie non significa abbandonarsi, insieme, alle oziose ore (come suggerisce Francesco Guccini), bastandosi l'uno all'altro, ognuno esotica isola per l'altrui bisogno di colmare il vuoto... e poi si vada dove si vada, accada quel che accada... 

No. Sempre più spesso "vacanza" significa: affanno organizzativo, ricerca spasmodica di quell'extraordinario (anche con mesi e mesi d'anticipo) che, diseducati a crederlo in noi, nel nostro amore, indotti (complici le complesse influenze sociali e culturali) a pensarlo altrove, cerchiamo fuori da noi (rincorrendo i mille eventi di cui l'estate è prodiga -amanti compresi), nel tentativo di riempire il più possibile quel vuoto che la vacanza crea, affinché non riveli il vuoto della nostra relazione. 

È in questo vuoto che più non si riesce a riempire che... nuovi amori nascono e altri vanno a morire. 

Augurando, dunque, a tutti i lettori di trascorrere una vacanza che riempia d'amore il vuoto che va generando, anche questo blog chiude per un po' i battenti e rimanda a settembre ogni ulteriore riflessione.

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