Come abbiamo osservato nel post precedente ("Sesso pos-sesso"), più frequentemente di quanto si immagini (e, ahinoi, anche di quanto ognuno immagini di sé e del proprio modo di vivere i suoi rapporti affettivi), il possesso è -invece- una delle manifestazioni che più caratterizzano la relazione con l'Altro che amiamo e, quindi, il nostro comportamento -con vari gradi di gravità- nei suoi confronti.
Oltre a quanto osservato, c’è poi, nelle intricate spire del possesso, un agire che rimanda implicitamente a un riempire, a un qualcosa di saturo e di statico che non può che accendere la crisi, perché quando ho tutto dell’Altro, quando lo possiedo totalmente o, viceversa, quando mi do tutto all'Altro allora non so più che farmene, allora non ho più spazio per desiderarlo o essere desiderato, per amarlo o essere amato (ne avevamo già parlato in diversi post di questo blog, vedi: "Amare a zog zag", "Il Mito della (con)-fusione"),
Si apre, qui, il discorso dell’amore come mancanza inaugurato da Socrate nel più stupefacente e attuale dei dialoghi platonici: il Simposio. L’amore, infatti, sostiene Socrate, non è desiderio di bellezza, ma desiderio della bellezza di cui si è privi.
Nell'amore l’amante cerca nell'amato l’oggetto della sua mancanza e si dispone a quel movimento di offerta e sottrazione che sigla il suo carattere paradossale: la disparità tra amante e amato, quell'asimmetria che è dell’amore ostacolo ma anche fondamentale motore.
Nell'amore l’amante cerca nell'amato l’oggetto della sua mancanza e si dispone a quel movimento di offerta e sottrazione che sigla il suo carattere paradossale: la disparità tra amante e amato, quell'asimmetria che è dell’amore ostacolo ma anche fondamentale motore.
L’amore sembra dunque ergersi anzitutto su una mancanza, ma una mancanza non rassegnata, sempre in cerca... sempre in cammino.
Amore, infatti, ci racconta Socrate è figlio di Penia (la povertà, il bisogno, la mancanza, appunto) che, giunta alla festa per la nascita di Afrodite (la bellezza), vede Pòros (l'ingegnosità, l’espediente, colui che sa trovare il cammino anche dove la strada -pòros- è sbarrata) che dorme ubriaco, e gli si sdraia accanto per poter rimediare alla propria povertà avendone un figlio. Da loro nascerà Eros.
Amore, infatti, ci racconta Socrate è figlio di Penia (la povertà, il bisogno, la mancanza, appunto) che, giunta alla festa per la nascita di Afrodite (la bellezza), vede Pòros (l'ingegnosità, l’espediente, colui che sa trovare il cammino anche dove la strada -pòros- è sbarrata) che dorme ubriaco, e gli si sdraia accanto per poter rimediare alla propria povertà avendone un figlio. Da loro nascerà Eros.
Figlio di Penia, Eros, è, dunque, sempre indigente, mendicante, ma come Poros è inventivo, astuto e capace di trovare la giusta strada per perseguire quella bellezza che ama (poiché nel giorno della sua nascita è stato concepito) con la consapevolezza che non potrà mai raggiungerla perché, come il filosofo è amante del sapere ma non è sapiente (se no non potrebbe amarlo), così anche l’amore è amante della bellezza, ma sa che la sua natura consiste nel perseguirne la mancanza, non nel colmarla, pena il decadere dello stato di amante.
Socrate ci dice, proprio nel Simposio, che solo la mancanza promuove il desiderio e solo il desiderio è in grado di suscitare l’amore.
Come bene riassume Jacques Lacan nel suo VIII Seminario: “L’amore è dare ciò che non si ha, e non si può amare se non facendosi non aventi, anche se si ha. L’amore come risposta implica il campo del non-avere. Dare ciò che si ha, è la festa, non è l’amore.”.
Come bene riassume Jacques Lacan nel suo VIII Seminario: “L’amore è dare ciò che non si ha, e non si può amare se non facendosi non aventi, anche se si ha. L’amore come risposta implica il campo del non-avere. Dare ciò che si ha, è la festa, non è l’amore.”.
Davvero uno dei blog più belli sull'Amore. Ogni articolo è scritto con una precisione e una profondità incredibile, per niente superficiale. Amore è evasione. E' fuga dalla realtà.
RispondiElimina