Gli stili affettivi descritti nei post precedenti (secure, obession, freezer, stick) sono solo alcuni dei tanti, infiniti modi (più o meno adeguati, più o meno patologici), in cui noi umani lanciamo nel cosmo un grido sempre parimenti colmo di incommensurabile gioia e di incommensurabile dolore: "Ti amoooooooooo!".
Un grido che, apparentemente, sembra restituire la sola nostra infatuazione per l'Altro: il bisogno di amare, un darsi a prescindere, incondizionato, ma che, il più delle volte, sottende invece un'altra profonda e spesso inconscia richiesta: "Amamiiiiiiiiii!".
Se fossimo davvero capaci di amare a prescindere, di amare incondizionatamente, di amare fermandoci all'urlato "Ti amooooooooo!", l'amore sarebbe l'ultimo dei problemi dell'umanità ma, forse, non sarebbe amore.
Tutte le difficoltà ma, soprattutto, l'irresistibile fascino e il profondo, fisiologico bisogno d'amore, la sua bellezza, nascono, invece, dal fatto che amare non basta, perché, quello che in fondo vogliamo è amare per essere amati o, similmente, essere amanti per poter amare.
Amare non basta perché l'amore, quello vero, quello sano, trova compimento solo nel vicendevole scambio della relazione e qualsiasi deformazione onanistica che non preveda la fusione tra il mio bisogno di amare e il mio bisogno di sentirmi amato, apre la porta al campo del malessere, quando non della patologia.
Si va dunque dal caso in cui l'amato (mia moglie, mio marito, il mio amante) manifesta (ognuno con differenti sfumature e modi) il suo non amore o, quantomeno, palesa un amore che non corrisponde al mio desiderio di come vorrei essere amato; fino ai casi estremi della cosiddetta "Sindrome di de Clérambault" dove il soggetto si innamora, in modo folle e ossessivo, di personaggi famosi o figure con cui, comunque, non ha alcun tipo di rapporto.
Ma, almeno nell'amore di coppia, non si può amare senza essere amati come accade all'Orlando dell'Ariosto o, meglio, purtroppo si può, e quando succede la domanda da farsi non é: "Perché non mi ami?", ma: "Perché ti amo se tu non mi ami?". Ed è domanda che spalanca, con diversi gradi di difficoltà, la strada del lavoro su di sé, sulle proprie insicurezze, le paure, i traumi, le mancanze, i bisogni profondi, le proprie fragilità. Non è, insomma, domanda con cui semplicemente interrogare l'Altro, colpevole di non amarmi o, come nella gran parte dei casi, di non amarmi come io vorrei essere amato, ma è domanda che invece deve interrogarci.
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